Donkey Kong Country: Tropical Freeze
Recensione Donkey Kong Country Tropical Freeze Wii U
SO THEY’RE FINALLY (?) HERE
Quando, a Giugno dello scorso anno, Nintendo tenne il suo tradizionale Direct in occasione dell’E3, un po’ tutti avevano l’hype elevatissima. Ci si aspettava che in quella diretta Satoru Iwata avrebbe sganciato la bomba nucleare che avrebbe convinto milioni di acquirenti a snobbare la concorrenza ed a tornare con Nintendo; ci si aspettava qualche nuovo marchio intrigante, o qualche vecchio ritorno altisonante. In particolare, ci si aspettavano grandi cose da Retro Studios, team texano che, allo stato attuale, è de facto il first party occidentale di Nintendo più importante. Non uscivano giochi dei Retro dal 2010, se si eccettua la collaborazione con Nintendo EAD per Mario Kart 7. E si sapeva che avevano qualcosa di grosso in lavorazione per Wii U. Grande fu la delusione quando partì il video del gioco in questione: un aereo precipita fra degli alberi, il portellone si spacca ed uno scimmione sorridente esce, contento di mostrare il suo pelo in HD. Lo scimmione si arrampicava, nuotava, rotolava e, insieme ad altre due scimmiette, saltava in testa ad orde di pappagalli e pinguini. I cori di sdegno si alzarono da tutti i lati, fra chi contestava che non fosse un Metroid e chi contestava che fosse un platform, quasi che il talento dei Retro fosse “sprecato” e che Donkey non meritasse tutte queste attenzioni. In realtà, fra realizzare un platform mediocre e realizzare un ottimo platform c’è di mezzo un universo intero; e così, sapendo già che questo Donkey Kong Country: Tropical Freeze è di questa seconda categoria, in modo che l’incauto lettore non si aspetti altro, andiamo, lentamente, a vedere perché chi ha sparato a zero su questo gioco a Giugno dell’anno scorso ha sbagliato alla grande.
Piccola nota a pedice della premessa: anche a Super Mario 3D World è toccato lo stesso destino. Bersagliato all’annuncio un po’ da tutti, ha ricambiato affettuosamente con delle sonore sberle all’uscita.
HE’S FINALLY BACK TO KICK SOME TAIL
La premessa da cui parte questo nuovo capitolo della saga nata nel 1994 per opera di Rareware non si discosta dalla tradizione cui ci hanno abituati i platform Nintendo: una trama minimale ci darà le giuste motivazioni per affrontare i mondi di gioco. Dopo le passate avventure ad affrontare coccodrilli e strumenti musicali, questa volta è il turno di nuovi avversari, i Nevichinghi (Snowmads nella versione inglese): un esercito di animali polari che, senza fare troppi complimenti, invade l’isola di Donkey Kong dopo averla congelata ed aver catapultato via i suoi vecchi abitanti, il cui scopo sarà ora di tornare a casa attraverso altre cinque isole. Il tutto mentre il povero Donkey stava festeggiando il suo compleanno.
La semplicità della trama, come detto, non è nient’altro che un pretesto per affrontare i sei mondi di gioco, come tradizione insegna. La trama inesistente, però, viene compensata da un titolo essenzialmente gameplay-oriented, che in questo senso rispetta a pieno i dettami della scuola di Kyoto, della quale i Retro sono, necessariamente, allievi.
HERE, HERE, HERE WE GO!
Cerchiamo di dipingere un quadro completo delle novità aggiunte in questo nuovo capitolo (DKCTF d’ora in poi) rispetto ai predecessori, in particolare rispetto a Donkey Kong Country Returns (DKCR d’ora in poi).
DKCTF si presenta come un platform vecchio stile: si salta, si rotola, ci si arrampica a zonzo per i livelli. Donkey Kong è il personaggio principale, ma in giro per i livelli si possono trovare anche delle botti che contengono Dixie Kong, Diddy Kong o Cranky Kong, che si posizioneranno sulle spalle di Donkey e fungeranno da utili alleati in molti frangenti. Se Diddy, con i suoi razzobarili, ha lo stesso ruolo che aveva in Donkey Kong Country Returns, ovvero dà la possibilità di prolungare il salto, Dixie dà una spinta verso l’alto, dando così la possibilità di raggiungere piattaforme poste più in alto, e grazie a Cranky si può molleggiare sul suo bastone, potendo così saltare su rovi, piattaforme acuminate, pinguini appuntiti ed altre amenità di sorta. I tre alleati garantiscono così un approccio ai livelli diversificato: la stessa sessione può essere più semplice con uno de tre che con gli altri due. Se Cranky si rende pressocchè fondamentale in molti livelli pieni di spine, Diddy è ottimo per le sessioni più strettamente “piattaformiche” in cui bisogna balzare in velocità da un punto all’altro; Dixie, da parte sua, garantisce una maggiore controllabilità rispetto a Diddy, oltre al fatto che, spesso e volentieri, la sua “risalita” verso l’alto vi salverà la vita. Se per completare i livelli non è mai obbligatorio scegliere una scimmia piuttosto che un’altra, lo diventa per trovare tutti i segreti sparsi per i livelli. DKCTF è, in questo senso, una miniera di segreti. Per ogni livelli bisogna trovare le quattro lettere della parola KONG, da raccogliere tutte in un fiato, e svariati pezzi di puzzle, variabili da cinque a nove a seconda dei livelli. In alcuni livelli, inoltre, sono presenti alcune uscite segrete di chiaro riferimento a Super Mario World. Se, infatti, in DKC Returns per sbloccare il livello segreto nel mondo bisognava comprare una chiave al bazar di Cranky, adesso, per sbloccare i livelli segreti, due per ogni mondo, bisogna trovare queste uscite segrete; uscite che spesso sono ben celate e che, pur non offrendo variazioni sostanziali alla formula di gioco (non hanno lo spessore di quelle di Mario World), si rivelano comunque un’introduzione interessante e molto meno banale della chiave. Se è scomparsa la chiave di certo non si può dire lo stesso degli altri oggetti, in vendita presso i Funky’s Fly’n Buy di Funky Kong: il buon vecchio scimmione, dopo aver sperimentato attività legate ai trasporti aerei, dopo aver fatto il meccanico e l’armaiolo, si è gettato nel commercio di mercanzia più spicciola, ma non meno interessante. Funky vende un sacco di oggetti da poter portare in missione, come i cuori extra, i barili Cranky, Dixie e Diddy, il palloncino verde che vi salverà da una caduta e quello blu per riempire la barra dell'ossigeni sott'acqua quando questo finisce, oltre ai pratici scudi che vi proteggono da un urto nelle sessioni a bordo dei carrelli e sui razzo barili. Questi ultimi oggetti citati permettono di introdurre altre tipologie di livelli, diversi da quelli tradizionali, che contribuiranno a variegare l’esperienza di gioco: i livelli sui carrelli e quelli sui razzo barili tornano, e , sfruttando la nuova caratteristica della telecamera dinamica, offrono nuovi spunti. Sul carrello, infatti, ci saranno sessioni da affrontare spostandosi sulle corsie di destra o di sinistra, mentre sul razzo barile sarà importante tenere d’occhio anche gli ostacoli laterali. La cosa buona è, in questo senso, il dosaggio ottimo di questi livelli nei mondi: non c’è l’invadenza presente in DKCR, ma in ogni mondo non c’è mai più di un livello per ognuna di queste categorie. L’altra novità parlando di livelli è il ritorno delle sessioni acquatiche, assenti in DKCR. In particolare, rispetto alla vecchia trilogia dei DKC e rispetto alla saga di Mario, cambia il sistema di nuoto: mentre nei giochi precedentemente citati, sott’acqua il personaggio manteneva un’orientazione costante, col nuoto deputato alla pressione di un tasto, generalmente A, in DKCTF il personaggio sott’acqua può cambiare la propria angolazione. Tale sistema rende caldamente sconsigliabile l’utilizzo di una configurazione di controllo basata sulla croce direzionale. Una delle non-novità che invece salterà all’occhio più di tutte è il non utilizzo delle funzionalità del Wii U Gamepad, il cui schermo si spegne se si sceglie di visualizzare la partita sul televisore. Questo da un lato potrebbe denotare una scarsa voglia degli sviluppatori di sfruttare le novità, ma sapendo quanto quelli di Retro siano attenti ai dettagli, viene difficile pensare che sia stato un problema di questo tipo; è molto probabile, invece, che quella di spegnere il pad sia stata una scelta voluta, per non inficiare un gameplay che si voleva presentare sin da subito come classico. Basti pensare che nel predecessore, un platform duro e puro, la scelta di utilizzare il motion control per alcuni comandi si è rivelata piuttosto infelice.
HE’S BIGGER, FASTER, AND STRONGER TOO
Se le novità ci sono, come visto poc’anzi, sicuramente non bisogna parlare di cambio netto di rotta: DKCTF rimane saldamente sulla strada dei suoi predecessori. In realtà, in questo nuovo capitolo delle avventure di Donkey il level design di Retro Studios raggiunge livelli mai visti. È proprio il level design a distinguere un capolavoro di platform da un buon gioco, e che separa un buon gioco da un brutto gioco. In questo senso, ogni livello di DKCTF è una rivelazione: trovate sempre nuove, che richiedono approcci ogni volta diversi per essere affrontate. Vi ritroverete a cannoneggiare Kraken sull’oceano, a correre in una tempesta di sabbia sotto una pioggia di porcospini infuocati, rimbalzerete su forme di gelatina gigantesche e scapperete da forme di emmenthal colossali; in pratica, ogni livello è un’insieme di cose nuove. Ma oltre alle trovate, sempre geniali, c’è dell’altro nel level design di questo gioco: la natura essenzialmente ambivalente di ogni livello. Ciascuno degli stage che vi ritroverete ad esplorare può (e deve!) essere vissuto in due modi: c’è un aspetto esplorativo-contemplativo, quello tradizionale, in cui si vaga per il livello gioendo della grafica e della colonna sonora, quello in cui si cercano i milioni di segreti presenti e in cui si aspettano interi minuti a pianificare un salto che può fare la differenza fra la vita ed un altro dei milioni di palloncini utilizzati; ma c’è un altro modo di vivere ciascun livello: il posizionamento di nemici ed ostacoli, studiato e certosino, permette infatti di compiere acrobazie e balzi inimmaginabili, e di passare in pochi salti, millimetrici, intere sezioni che altrimenti richiederebbero molto più impegno. Questo aspetto, che mostra il livello elevatissimo dei level designer di Retro Studios, è il punto cardine della modalità Time Attack, la sfida a tempo, in cui sapere bene dove saltare e come farlo diventa fondamentale. La presenza di leaderboards consente di pubblicare i propri tempi online e di vantarsi con gli amici; non è moltissimo come modalità online, ma il fatto che ci sia non è da sottovalutare, vista la tradizionale non simpatia di Nintendo verso quest'aspetto.
Un'altra cosa da non sottovalutare, ma da non prendere troppo sul serio, è la modalità cooperativa: si può infatti giocare in due, in cui il giocatore uno, sempre sfruttando il gamepad del Wii U, impersona Donkey ed il giocatore due impersona uno de tre assistenti. In realtà questa modalità è un’evidente aggiunta posticcia, visto che mostra esattamente gli stessi limiti della corrispettiva modalità nel capitolo precedente. Infatti, questo DKCTF è un gioco tarato sul singolo, il level design non si adatta sempre benissimo alla modalità cooperativa e le partite in due, a meno di una coordinazione da acrobati fra i due giocatori, rischiano di trasformarsi in un’ecatombe di scimmiette. Buono per farsi due risate con un amico, ma da non tenere troppo in alta considerazione.
Anche in singolo, in realtà, questo capitolo si dimostra essere un osso duro: se generalmente possiamo dire che il livello di difficoltà è leggermente più basso che nel capitolo precedente, in generale rimane parecchio più alto della maggior parte dei giochi sulla piazza; in realtà, non è quasi mai frustrante se non in alcuni passaggi alla fine, e la scelta di diminuire il numero di mondi, da 8 a 6, aiuta molto in termini di coesione del gioco, senza danneggiarne la longevità. Infatti, mentre nel capitolo precedente gli ultimi mondi potevano risultare “di troppo”, qua il ritmo si mantiene sempre alto fino al boss finale; mi permetto di dire che il mondo 6, l’isola di Donkey Kong congelata, è il miglior mondo del gioco e probabilmente è uno dei migliori “ultimi mondi” di quest’ultima stagione dei platform 2D. La scelta di un mondo ambientato interamente nel ghiaccio può far storcere il naso ad alcuni puristi del genere, visto che proprio le ambientazioni ghiacciate sono storicamente quelle più invise ai platformisti. Questo perché le leggi sull’inerzia prendono una piega interamente loro; ma in questo gioco, proprio l’inerzia sregolata delle piattaforme ghiacciate crea alcune delle migliori situazioni del gioco.
WALNUTS, PEANUTS, PINEAPPLE SMELLS…
Sul fronte tecnico Donkey Kong Country Tropical Freeze è una buona prova di forza per il Wii U. Se il gioco non può beneficiare dei 1080p (si ferma a 720p), rimane comunque inchiodato ad un frame rate stabilissimo di 60fps, mentre il fur shading utilizzato per ricreare le pellicce degli scimmioni è decisamente convincente, così come convincenti sono gli effetti di luce. Ma se ad oggi è difficile sorprendersi per la grafica di questo Donkey, è l’aspetto sonoro quello che più di tutti convince.
In tutta la saga di Donkey Kong c’è stato un rapporto particolare con la musica, in un modo o nell’altro. Se nel primo episodio, quello targato 1981, il motivetto principale fu relizzato da Miyamoto stesso con un tastierino, configurandosi, a tutti gli effetti, come la prima musica in un videogioco Nintendo, nella trilogia dei Country per SNES c’era un attenzione maniacale per la musica. La colonna sonora all’epoca era curata da Davis Wise, compositore in forza presso Rare, e si può parlare di quelle colonne sonore come delle migliori nell’epoca 16 bit; in DK64 per Nintendo64 gli strumenti musicali stessi diventano uno degli oggetti utilizzabili dai Kong per sconfiggere i nemici ed attivare meccanismi; la stagione dopo, quella del GameCube, vide l’intensificarsi di questo rapporto fra scimmie e musica: si pensi ai bonghi, alla trilogia di Donkey Konga e al platform musicale Donkey Kong Jungle Beat, da giocare a colpi di tamburo, le operazioni che a tutti gli effetti aprirono la stagione del “gioco senza controller tradizionale” che da lì a breve sarebbe stata la fortuna di Nintendo. In questo senso, anche l’ultimo capitolo per Wii U ha una certa rilevanza: la colonna sonora, infatti, è stata scritta dallo stesso David Wise, che in occasione del ventennale di DKC torna, dopo dieci anni di lontananza dalle scene dei titoli grossi, per comporre una delle migliori colonne sonore in circolazione: tamburi africani e corni sassoni si mischiano a ritmi da giungla ed a musicalità marine, mentre pezzi vecchi e nuovi contribuiscono ad immergercisi interamente nell’atmosfera dei livelli, fino a gioire del remix della storica traccia Jungle Japes, ad oggi vero e proprio inno della saga delle scimmie. Che dire, si spera solo che dopo questo lavoro Davis Wise, che ha dimostrato di non avere perso un briciolo della sua bravura, possa entrare a tempo pieno in Retro Studios.
…GRAPES, MELONS, ORANGES AND COCONUT SHELLS!
Se siete arrivati fin qui nella lettura vi sarete fatti una discreta idea di questo gioco: un platform molto tradizionalista, con un level design eccezionale, praticamente perfetto in ogni suo aspetto, che forse ha come unico difetto di non volere innovare troppo. Ma alla fine può anche andare bene così.
E, fidatevi, il talento dei Retro non è andato sprecato.
C’MON CRANKY, TAKE IT TO THE FRIDGE!
Valutazione
- Divertimento — 10
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- Divertentissimo.
- Sonoro — 10
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- Penso che non ci sia molto da dire
- Grafica — 9
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- Frame rate stabilissimo
- Fur shading ben relizzato
- Curato fin nei dettagli
- Giocabilità — 10
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- Il non plus ultra della potenza platformica. Bellissimo e godibilissimo.
- Longevità — 9
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- Meno mondi degli altri capitolo
- Giocandoci vi renderete conto che non è assolutamente un problema
- Segreti sparsi per i livelli a pioggia
- Elevata rigiocabilità, grazie anche a due modalità extra
- Difficile
Totale
10.0
Un concentrato di immediatezza, divertimento, pura potenza scimmiesca. Un capolavoro di level design, con una colonna sonora d’altissimo livello. Grazie Retro, grazie Donkey!
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