The Legend of Zelda - Majora's Mask

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Senza nome

DAWN of
the FIRST DAY

-27 Aprile 2000-
E’ il primo giorno. S’alza al mattino un giovane ragazzotto, osserva fuori dalla finestra e nota che il sole è ancora al suo posto. La luna, anche, si presume, è salda lassù nel cielo. Si veste, fa colazione, esce di casa, si prepara alla fila che, in realtà, non è tanto lunga. Meglio così.
E’ il primo giorno. Eiji è teso. S’alza al mattino il giovane sviluppatore, osserva fuori dalla finestra e nota che il sole è ancora al suo posto. La luna… non parliamogli della luna. Non ha molta voglia di alzarsi. E’ teso: come andranno le vendite? In ogni caso, ce l’aveva messa tutta.
Toh! Chi si vede. Un vecchio amico del ragazzotto. E’ anche lui in fila per Mujula? Nah, sta osservando in vetrina giochi per la PS2. Già, la PS2. Ne parlano tutti, forse andrebbe acquistata, eh? Pare sia il futuro. Però il vecchio Nintendone, anche se nessuno ci gioca più, è sempre in forma e diamine, il nuovo Zelda sembra fantastico! Peccato non poter condividere la propria avventura con altri, però. E dicono che il vecchio Miyamoto non l’abbia curato più di tanto. Possibile? Forse Nintendo non è più in forma come un tempo, è proprio così! Non come SEGA: Miyamoto forse sarà un po’ stanco, ma Yu Suzuki non ci tradirà mai! Oh, Shenmue. C’erano screen fantastici sull’ultimo Famitsu. Chissà quando uscirà. Ma comunque questo Zelda non sembra male.

You played the Song of Time!

DAWN of
the FIRST DAY
-21 Febbraio 1986-
E’ il primo giorno. S’alza al mattino un giovane ragazzotto, osserva fuori dalla finestra e nota che il sole è ancora al suo posto. La luna, anche, si presume, è salda lassù nel cielo. Si veste, fa colazione, esce di casa, si prepara alla fila che, come tutte le file giapponesi, pur chilometrica è perfettamente ordinata.
E’ il primo giorno. Shigeru è teso. S’alza al mattino il giovane sviluppatore, osserva fuori dalla finestra e nota che il sole è ancora al suo posto. La luna anche. Sarebbe interessante un gioco ambientato sulla luna e altri pianeti, magari basato sulla gravità… ma oggi non ha voglia di pensarci. Non ha proprio molta voglia di alzarsi. E’ teso: come andranno le vendite? In ogni caso, ce l’aveva messa tutta.
Toh! Chi si vede. Un vecchio amico del ragazzotto. E’ anche lui in fila per Zelda, eh? Questo nuovo gioco che pare sia la rivelazione dell’anno, ma no, del decennio. Forse del secolo. Ne parlano già tutti… perché il gioco vuole che se ne parli. Pare che l’uomo dietro, quel Miyamoto che sì, ti ricordi, aveva già ideato Mario, abbia riempito il mondo di Zelda di segreti per spingere i giocatori ad aiutarsi l’un l’altro. Che genio! La concorrenza se lo sogna, uno così, e… oh, hanno messo un nuovo cabinato. Chissà che gioco è. Sembra della SEGA: i maestri dei cabinati! Ma ora di uscire dalla fila… lasciamo stare. Ultimamente poi i giochi per home sono sempre più stimolanti. Zelda per gli arcade non l’avrebbero mai fatto, no.

You played the Song of Double Time!
Cambio di maschera


Senza nome


DAWN of
a NEW REVIEW

Nuova recensione. The Legend of Zelda: Majora’s Mask. Ma è troppo presto. Torniamo indietro, indietro, indietro…

You played the Song of Time!

Nuova recensione. The Legend of Zelda: Hyrule Fantasy. Si diceva, i giochi per home sono sempre più stimolanti. L’aveva già capito l’anonimo ragazzotto in fila per Hyrule Fantasy più di 25 anni fa, l’aveva capito anche Miyamoto: il videogioco aveva bisogno di una svolta ai tempi del Famicom. La caccia all’high score doveva trasformarsi in caccia ai segreti. La velocità d’esecuzione dei vari livelli doveva lasciare spazio ad una rilassata esplorazione. Super Mario Bros. è stato l’Atto I della morte del videogioco arcade per mano di Nintendo: quel gioco manteneva elementi arcade (il tempo, il punteggio), ma erano totalmente in secondo piano: si ha francamente più soddisfazione a scoprire la Warp Zone nel mondo 1-2 che finire il gioco raccogliendo tutte le monetine. Portato Mario fuori dal contesto platform, questi elementi in secondo piano possono tranquillamente sparire. Non c’è necessità che Mario’s Adventure, action-adventure-RPG, li presenti. Tanto più se poi questo gioco cambia anche nome e perde qualsiasi legame col Regno dei Funghi: Hyrule Fantasy ha totale autonomia dal mondo delle monetine e dei record. Si dirà che Hyrule Fantasy non è il primo gioco senza punteggio e tempo: nessuno lo nega. E’ però notevole perché è un gioco Nintendo: è idealmente il manifesto dell’azienda che dominerà il mercato videoludico per le prossime due generazioni: vi annunciamo che l’arcade è morto. Casualmente proprio quella che diverrà la rivale numero uno di Nintendo, SEGA, è legatissima al mondo dei cabinati: così la sfida fra le due azienda sarà la sfida fra due ideologie. Ma ne parleremo in un’altra occasione. Torniamo nel futuro.

You played the Song of Double Time!
Cambio di maschera

Senza nome

Il ragazzo a casa decise di informarsi sul nuovo Zelda.

"Nuova recensione. The Legend of Zelda: Majora’s Mask.
…il nuovo episodio della leggendaria saga di Zelda, creata nel  1986 dalla mente di Shigeru…"


Quel primo episodio se lo ricorda. Gliel’ha prestato l’altro giorno suo cugino assieme al NES: ne aveva sentito parlare un gran bene ma, in tutta franchezza, è ingiocabile. Link non è un personaggio, è un pezzo di legno come movimenti. I personaggi si esprimono a monosillabe… quando si esprimono. Il mondo è un immenso labirinto. I nemici ti accoppano in due colpi. Ma come si fa a giocare un robo così?

You played the Song of Double Time!

Cambio di maschera

I tempi in effetti sono cambiati. Hyrule Fantasy uscì “a cavallo” fra l’era arcade, come si diceva, e la prima era home. Il Family Computer System apriva i videogiochi ad un pubblico più ampio degli otaku da sala giochi, ma rimaneva un pubblico comunque limitato e, ad ogni modo, Hyrule Fantasy non si rivolgeva al papà o alla sorellina. Era un gioco per videogiocatori. Mario era già più trasversale, i vari Golf, Tennis, Baseball, Duck Hunt, eccetera più per il grande pubblico (oggi diremmo per casual!). E come tutti i giochi per videogiocatori dell’epoca era cattivo, difficile, sleale. Col tempo i videogiochi si sono diffusi sempre di più ed il videogiocatore medio s’è rammollito. E’ un dato di fatto. Io appartengo ad una generazione che ha, per lo più, rinunciato alle grandi sfide all’ultima goccia di… sudore gettata sul pad, in nome di una maggiore varietà, di una gradevole grafica, di una narrazione coinvolgente. Idealmente il passaggio dalla prima alla seconda era home è avuto con l’avvento della PS1, che ha massificato davvero il videogioco. E proprio in quest’era il mondo arcade, già in crisi, muore. E’, alla fine, tutta una questione generazionale. I primi anni 80 erano dominati dagli arcade. Dall’85 al 95 si ha avuto il videogioco 2D. Dal 95 è arrivato il videogioco 3D, più narrativo e meno “tosto” del suo precedessore. Negli ultimi anni si sta diffondendo il videogioco social/mobile.
La cosa notevole è che il parere sopra su Hyrule Fantasy non è solo dell’anonimo ragazzo. E’ anche di Aonuma. Di una generazione successiva ai “vecchi” Miyamoto & Tezuka, Aonuma non ama i primi due Zelda, troppo action, troppo legnosi, troppo difficili. Non ama nemmeno Mario, che richiede troppa abilità manuale. L’episodio per Super Famicom gli piace, ma per l’esplorazione, per gli enigmi, per i dungeon, per i villaggi. Non certo per i combattimenti, ancora troppo punitivi. E’ naturale che divenuto director Zelda cambi, si modifichi, si -dal punto di vista di un videogiocatore anni 80 duro & puro- casualizzi.
Majora’s Mask è così una sorta di “nuovo inizio” per la serie e, accidentalmente, il primo gioco di spessore di Aonuma, così come Hyrule Fantasy fu il primo grande gioco non legato a Mario di Miyamoto. Certo, in realtà Majora è costruito sulle basi poste da Ocarina e forse quel gioco è destinato a rimanere “il miglior Zelda di tutti i tempi” proprio perché la vecchia guardia di Miyamoto ha “bilanciato” la nuova di Aonuma (e viceversa): Ocarina non vara né sull’action né sull’adventure, ottenendo un perfetto equilibrio che non sarà più raggiunto dai successivi episodi figli del solo Aonuma, cui focus è sull’adventure, o da Skyward, varato all’action (Fujibayashi è grande fan dei primi episodi, non a caso).
Tutto ciò è evidente sin dall’inizio. In pochi si dedicano all’analisi degli “inizi” dei videogiochi, forse perché solitamente caratterizzati da noiosi tutorial o soporifere cutscene. Come al solito i giochi Nintendo costituiscono spesso e volentieri un’eccezione a questa triste regola, offrendo -come da migliore tradizione letteraria!- il biglietto da visita dell’opera, se non di più. Il mondo 1-1 di Super Mario Bros. è tutto Mario: l’attenzione posta da Miyamoto nel level-design ha portato alla creazione di un primo livello-archetipo. Non a caso la serie New ripresenta sempre quel blocchetto, quel fungo, quel Goomba, quel tubo nell'esatta posizione di 25 anni fa. Il terzo episodio non è da meno.
Passiamo a Zelda. Hyrule Fantasy inizia senza spada: è vero, la si ottiene subito, ma non automaticamente. Si nota una caverna: c’è coinvolgimento del giocare. Ci si chiede cos’è: sense of wonder, costante per tutta la serie da 25 anni. Si entra: sense of… wandering, esplorazione. Si è ricompensati. L’inizio di Ocarina è più un tutorial canonico, ma è il primo Zelda 3D ed è necessario familiarizzare con alcune meccaniche (Z Targeting in primis). E Majora? Majora inizia con Link, il grande Eroe del Tempo, che viene sconfitto e, fra le altre cose, gli viene rubato il cavallo. “Eroe”. Quando prendiamo controllo del personaggio non è Link, ma un Deku. Siamo straniati? Sì, come lo è Link. Ma è davvero Zelda? Dov’è la spada? Dove sono i moblin? Dov’è la principessa Zelda? Dov’è Hyrule? Arriviamo poi ad incontrare il Venditore di Maschere: finalmente una faccia famigliare in questo mare di dubbi! Adesso Link tornerà Link e… no, Link rimane Deku. Entriamo a Clock Town.

DAWN of
the FIRST DAY

Oh un cane. Oh un tizio con la maschera di Pikachu. Oh dei carp… anzi, I carpentieri. Anzi no, sembrano quelli di Ocarina ma non lo sono. Anche la tizia della locanda sembra quella di Ocarina. Sembra, ma non è. Il gioco invece non sembra Zelda, ma lo è. Così tutta la prima parte è un vagare per Clock Town, familiarizzando con il Deku e con la cittadina, vero cuore del gioco. Non c’è un combattimento che sia uno. Non c’è niente di action: è puro adventure. Tutto è costruito per raggiungere il climax con lo scontro contro lo Skull Kid, ma è uno scontro anticlimatico che si risolve nella fuga dell’eroe e…

You played the Song of Time!

…e niente. Tutto si annulla, tutto torna come prima.

DAWN of
the FIRST DAY
Oh un cane. Oh un tizio con la maschera di Pikachu. Ci risiamo. Ma adesso siamo Link ed il cane non ci attacca più. Prima differenza. Alcuni personaggi ci parlano diversamente. Le guardie ci fanno uscire dalla città. I bambini si ricorderanno di noi… anzi no. Tutto si è davvero annullato. E’ di nuovo davvero il primo giorno. Nessuno si ricorda di noi, eccetto il Venditore (non a caso l’unico personaggio proveniente dal gioco precedente e non entra mai a Termina, cioè nel gioco nuovo, rimanendo sempre fuori da Clock Town).

You played the Song of Double Time!
somewhen near the
END of
the FINAL DAY

(after many hours of playtime)
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Finalmente siamo riusciti a riunire Anju e Kafei. Che impresa! Adesso vediam… ma è tardi. La Luna sta per scontrarsi. Ma si sono riuniti. Ma dobbiamo tornare indietro. Ma così torneranno disuniti. Ma dobbiamo farlo. Ma, ma, ma.

You played the Song of Time!


Senza nome

DAWN of
the FIRST DAY

Oh un cane. Oh un tizio con la masch… è Kafei. E’ davvero tutto come prima. E’ stato tutto inutile. Kafei di nuovo non si fida di Link, di nuovo è lontano da Anju. Bell’eroe, Link. Tutti gli sforzi vengono sempre annullati: si continua a fuggire. Non esiste alcun climax, perché sempre torniamo all’ALBA del PRIMO GIORNO. Kafei si è riunito con Anju, ma non lo sa, e in effetti non è mai successo. I personaggi di Majora’s Mask sono solo personaggi, mai potranno essere persone, per questo: il vissuto è ciò che determina una persona. Ma il loro vissuto, il rapporto che intrecciano con gli altri, sempre viene annullato. Majora non è action, ma non è nemmeno adventure, venendo a mancare due elementi chiave del genere: il rapporto con gli altri personaggi, appunto, e la ricompensa dell’eroe. Eroe che nemmeno più è tale, sempre costretto a fuggire. E’ tutto in crisi di identità. Lo sono i personaggi agli occhi di Link, che sono loro ma non sono loro perché privati di parte del loro vissuto (proprio il vissuto “condiviso” con Link). Lo è Link, che non solo si trova in un mondo che non è il suo, ma per tutto il gioco assume tre diverse identità (tre diverse maschere) spacciandosi sempre per un altro, senza che possa mai venire accettato per chi è. Ma chi è? Non sembra proprio essere un eroe, anche se il Venditore la pensa diversamente (ma lui non fa parte di questo mondo e questo gioco). In tutto questo l’unione Link-Giocatore è totale. Qualcuno forse ricorderà che anni fa citai Majora come uno dei pochi videogiochi con una narrazione “videoludica”. Il continuo tornare all’ALBA del PRIMO GIORNO è frustrante per il giocatore, che si vede sempre annullati i propri sforzi, come si suppone lo sia per Link, che si vede sempre annullati i propri sforzi. Termina è un mondo estraneo sia per il giocatore che per Link, entrambi spaesati al suo interno. Certo, è un genere narrativo diverso da quello di Portal, che narrava videoludicamente un’effettiva storia: Majora è una sorta di corrispettivo videoludico di un romanzo psicologico di primo Novecento (non a caso il tema delle maschere è ricorrente e, all'inizio, Link cade in un grande baratro: Link esplora qualcosa che è "sotto", metafora classica per l'esplorazione del proprio subconscio. Tanto che dopo l'onirico dungeon finale viene da chiedersi se forse l'intera avventura non sia stata un grande sogno di Link, una grande analisi di se stesso che l'Eroe ha compiuto, un viaggio interiore. Lo Skull Kid è, del resto, "specchio" di Link: egli non ha accettato che i Giganti se ne andassero, così come Link, "alla ricerca di un amico", non ha accettato che Navi se ne andasse). Ma, comunque, è una narrazione da videogioco possibile solo in un videogioco.
Ed anche la serie è in crisi di identità, dopo che questo episodio ha sistematicamente distrutto qualsiasi elemento che rendeva Zelda Zelda. O no? Majora è comunque Zelda. Ne segue che non sono i combattimenti, la presenza di Ganondorf, Hyrule, il focus sui dungeon a rendere Zelda Zelda. Forse Majora è stato un passo necessario: la serie doveva mettere in discussione la propria identità per capire quale effettivamente è. Qualsiasi negazione è determinazione, del resto. Ed è semplice, alla fine, capire quale sia. Termina fa paura, rende spaesati, ma alla fine è pure bellissima. E’ un mondo meraviglioso. L’Hyrule del primo episodio faceva paura, senza spada si era spaesati, ma alla fine era pure bellissima. Era un mondo meraviglioso. E ritrovarsi nell’immenso Hyrule Field in Ocarina? Adesso dove si va? Si è spaesati, ma è bellissimo. Un mondo meraviglioso, dove per meraviglioso si intende proprio qualcosa di così tanto “oltre” da fare paura ma allo stesso tempo suscitare ammirazione, attrazione. Il sense of wonder è ciò che rende Zelda Zelda. Lo stesso sense of wonder che il giovane Miyamoto provava nei boschetti vicino a casa sua. Lo stesso sense of wonder che prova un bambino giocando. Majora non tradisce lo spirito di Zelda: lo reinterpreta certo in chiave un po’ più cupa, ma non lo tradisce. Così Aonuma reinterpreta la serie in chiave più adventure, ma non ne tradisce l’essenza, riuscendo anzi a tramandarla ad una nuova generazione di videogiocatori per cui, ormai, i tosti combattimenti degli episodi bidimensionali avevano perso attrattiva. Zelda muore e risorge dalle ceneri: Zelda muta e Zelda vive. Aonuma manterrà le rendini della Leggenda per più di un decennio, poi arriverà il momento di adeguare la serie ad un nuovo pubblico, ad una nuova generazione. Servono idee nuove, di nuovo. Quelle di Fujibayashi, ad esempio. Ma non è un problema: Majora ha dimostrato che è possibile reinventare la serie, che questa può essere declinata in tanti modi diversi. Ha dimostrato che è eterna, come sono eterne le migliori leggende che, d'altra parte, sono state narrate, vengono narrate e sempre saranno narrate alterando qualche particolare qua e là. E' davvero la…

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